mercoledì, ottobre 19, 2016

Giorni di convivio

Dopo giorni intensi, obiettivi chiari e agende intense, mi sono regolato alcuni momenti conviviali.

Ho bevuto whisky con sommelier americani. Ho fatto assaggiare la piadina a storyteller inglesi. Ho iniziato alla fiorentina commercianti arabi, introdotto al gutturnio ex clienti tedeschi e "coccolato" vecchi amori olandesi.

E tutto è successo in soli pochi giorni e non mi sono dovuto neppure muovere.

domenica, maggio 15, 2016

Il sardo sotto il carrubo di Sicilia

Il fumo della brace sale ancora tra le foglie del carrubo, così come l’odore della carne riempie ancora l’aria. C’è poco vento nella costa a sud di Siracusa. La brezza dal mare spira forte, ma poi si perde tra le frasche degli agrumeti che circondano il maniero. Nella radura, dove di giorno i muratori lavorano al recupero della vecchia scuola, c’è aria di casa. Sapone, shampoo, sale, caffè popolano gli scaffali vicino alla tenda dove i muratori si fermano anche la notte. E’ sabato e la radura si è vestita a festa. Dalle campagne, altri amici, altri conoscenti sono scesi per condividere la carne alla brace che la squadra di lavoratori prepara per le sere di libertà.

A mezzanotte, la cena è finita da poco. I bambini guardano costruire palloncini artistici; era il lavoro di uno dei muratori. Alla destra del carrubo, seduti sulla calce, due ragazzi preparano una canna. Il gruppetto più grande è attorno alla luce di un piccolo faro, chi sorseggia l’ultima birra, chi bagna la frutta con un moscato secco e forte.


Nell’angolo più buio, a sinistra del grande albero, invece, un uomo sardo di mezza età parla a bassa voce con una ragazza dai capelli rossi. Voci basse, la ragazza chiede, l’uomo risponde.
“Ho comprato un pezzo di terra in Sardegna – dice lui –. E’ fuori città, in un luogo tranquillo. C’è un guado da attraversare per arrivarci, ma l’acqua non è mai troppo forte”.
“Vuoi costruire casa, una vera, in mattoni” sopraggiunge lei.
“No, nessun mattone. In paglia e pietra. Costruirò una pinneta, con gli stessi materiali che usavano i pastori per la transumanza. Quando erano in viaggio, i pastori trovavano solo pietra e paglia e con pietra e paglia costruivano le loro dimore. Avevano il fuoco al centro; le usavano anche come caseifici. Anche la mia avrà il fuoco al centro”.
“Faccio fatica a immaginarla – commentò la ragazza -. Non ne ho mai sentito parlare”.
“Come la iurta dei nomadi delle steppe. Solo più solida – precisò lui -. La iurta doveva smontarsi, mentre la pinneta è una costruzione permanente”.
“Sai già quando ti trasferirai?”.
“Non ancora”, temporeggia lui, mentre ispira forte e la canna brilla nella notte. “Per ora voglio chiedere ai muratori se posso vivere qui con loro nella loro tenda. Devo restare ancora in Sicilia”.
“Perché l’hai scelta?”.
“Non l’ho scelta. Il lavoro mi ci ha portato. E il lavoro ancora mi piace nonostante tutto”.

L’uomo inspirò l’ultima erba e si alzò. Si incamminò verso la sua tenda, a un paio di chilometri oltre la strada. Il giorno dopo, vestito da soldato, l’attendevano sulla sua nave arancione per il soccorso in mare. Di nuovo verso Lampedusa, il suo mare e i suoi barconi.

mercoledì, aprile 27, 2016

Il thè dell’Asia e la Menta di Romagna

Cesti di thè birmano vicino a Pindaya
24 ore, una persona, due messaggi. Nel primo, via Facebook, mi ha invitato alla riunione dell’associazione a cui entrambi apparteniamo; nel secondo, via email, mi ha intimato un omissione di atti di ufficio.
Il flusso degli eventi è proseguito coerente a questo inizio.

Ancora pochi minuti e ancora due messaggi. Due email questa volta. La prima mi ha inserito in un settetto magico, chiamato a portare il mondo in un piccolo spicchio d’Italia. La seconda mi ha invitato a trasferirmi in Irlanda per farla esplorare a piccoli gruppi di italiani.
E così ancora pochi minuti dopo. Altri minuti due messaggi ancora. Uno per accompagnare dei canadesi in Birmania; uno per accompagnare dei Birmani in Italia.

Nel thè verde asiatico aromatizzato alla menta romagnola mi chiedo se, come the Yes Man, anch'io posso dire di sì a tutto.

lunedì, marzo 28, 2016

Myanmar. Monks and Novices

Myanmar - Bagan: Shwe Zi Gone Pagoda (37 Nats Temple)
Myanmar - Bagan: Shwe Zi Gone Pagoda (37 Nats Temple)

Myanmar - Yangon: Monastry close to Swal Daw Pagoda
Myanmar - Yangon: Monastry close to Swal Daw Pagoda

Myanmar - Yangon: Shwe Dagon Pagoda
Myanmar - Yangon: Shwe Dagon Pagoda

domenica, febbraio 28, 2016

Scusate il ritardo. Un pdf e un affare romantico.

Scusate il ritardo. Ero tutto impegnato in un affare romantico. Cioè?
Cioè, fatemi spiegare. Niente di carne, anzi, a dire il vero, proprio tutto elettronico. Un pdf lungo 56 cartelle dell’Agenzia esecutiva europea per l’educazione, l’audiovisivo e la cultura. Vi siete gelati ora?
Fatemi spiegare di nuovo. E’ vero che è un pdf, ma in quelle 56 cartelle credo di aver contribuito – assieme a croati, greci, inglesi e italiani – al progetto culturalmente più creativo ed economicamente più importante a cui abbia mai lavorato. Non lo racconto qui. Però, ancora una volta, l’ultima, fatemi spiegare tre piccoli passaggi. Me l’hanno fatto amare da subito.
Ci vuole un po’ di follia per unire con un filo diretto una comunità che non arriva alle 700 anime e la principale istituzione europea. Quel file in pdf, l’ha fatto.
E poi ci vuole un po’ di sana ironia, in questi giorni, mentre gli uni parlano di Brexit e gli altri di Grexit, a mettere attorno a un tavolo proprio inglesi e greci. E invece l’hanno fatto e vanno proprio d’accordo.
E, infine, ci vogliono le persone giuste per avviare un percorso di numeri, procedure, requisiti, obiettivi misurabili con una conversazione legata all’utopia. Io ho parlato della mia, che potete anche leggere. Lei della sua. Le abbiamo messe insieme e ora sono il cuore di quelle 56 pagine.
Scusate il ritardo, ma, ora forse lo capite meglio, ero impegnato in un affare romantico, fino a tarda sera, talvolta fino a Londra.

venerdì, gennaio 08, 2016

Una sosta dalla signora dei testaroli

“Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini”.
(B. Chatwin)

E’ autunno, ma fuori fa ancora caldo. In tarda mattinata, la temperatura è oltre i trenta gradi. Nel seminterrato, in laboratorio, gli otto fornelli bruciano all’unisono. L’aria è densa come in allucinazione là sotto. La signora, corpulenta, ancheggia attorno ai fuochi. Sono grandi i fuochi. La signora cammina stancamente e a lungo per fare il giro attorno ai fornelli e ruotare al momento giusto ogni testarolo. E’ un pane semplice, il testarolo, di acqua e di farina. E’ dalla notte prima che la signora prepara senza sosta dei testaroli.
Si asciuga il sudore, poi toglie un pane dal fuoco, lo taglia a strisce e me lo allunga. “Prima sentilo così – mi dice – poi va fuori in giardino. Te lo porto fuori”.

Il giardino è intimo e appartato. Lenzuoli appesi proteggono dalla luce del sole. I due tavoli tondi restano all’ombra. Così come le sedie attorno e i mobili, disordinati, appoggiati al muro. La tovaglia è di carta. Non è un ristorante e non lo sembra.
“Sono con il pesto” mi dice la signora, posando il vassoio a fianco del mio piatto.
“Profumano di buono” dico sorridendo.
La signora si siede in una sedia vicino al muro e appoggia il gomito su un vecchio comodino. Suda ancora, è stanca.

“Perché fai questo lavoro?”, le chiedo.
“Perché l’ho fatto sa sempre. E quado la mia azienda è voluta diventare un’industria, io sono partita con il mio laboratorio. Volevo farli meglio, i testaroli”.
La signora prende una pausa, si schiarisce la voce e si rivolge a me.
“E tu perché viaggi, perché cammini?”.
Mi prendo un pausa anch’io.
“Credo ancora di avere ancora dei motivi per farlo”.