lunedì, novembre 02, 2015

Orizzonti. Incontri di strada, profezie ed eredità d'aula

Castello di Longiano
L’ultima è stata una festa a lume di candela. Pochi giorni fa, a ottobre. Nelle segrete di un castello romagnolo, donne birmane vestite di mille colori hanno cantato e danzato con una luce diffusa per indicare la strada al Buddha, che in quella notte sarebbe rientrato sulla terra dal paradiso. “Ci farebbe piacere se venissi anche tu” mi ha detto, Flora, la signora che parla anche italiano. Mi sono versato un poco di sangiovese e mi sono unito a loro.

Prima era stata la volta di Marcello, a Bologna. Marcello ha un alimentari vicino alla casa di una mia cara amica. Sui suoi banchi, le mortadelle sono numerate. Sono uniche così come il loro sapore. A metà ottobre, con Marcello in formato oste, ho condiviso quelle mortadelle con un piccolo gruppo americano. A fine serata, Marcello e una coppia che celebrava l’anniversario hanno danzato assieme un tango. Dai portici di via Farini il locale sembrava la cornice di una fiaba.

La settimana prima di partire per la via Emilia e gli Americani ero salito nel cuore delle Foreste Casentinesi. Di sera, con uno storico locale, avevo presentato la storia dei generali inglesi che, nel ’44, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, avevano attraversato la linea Gotica in fuga passando molti giorni e molte notti con gli abitanti del posto. Sorpresa fu quando gli amici danesi capirono che la proprietaria dell’agriturismo era figlia degli eroi di allora. Fu sorpresa, come poche settimane prima quando, a caccia di quella storia, una sorridente signora neozelandese aveva attraversato il mondo per arrivare fino alla Romagna. “Si può dormire a Strabatenza?” mi aveva chiesto nella sua prima mail. Ora ho una sua foto, mentre raccoglie le prugne sulle colline dove suo nonno aveva vissuto assieme ai partigiani più di mezzo secolo prima.

Di guerre, ne hanno vissute anche i giovani studenti dei Balcani che ho incontrato a settembre. Guidando loro, guidato da loro, sono entrato in un palazzo privato di cui mai avevo percepito l’immensità. Uno, due, tre giardini, sempre più grandi, sempre più belli.

Guardo con ottimismo questo concatenarsi di grandi lavori e di piccoli incontri. Nel giugno di un anno fa, quando ancora dovevo finire la mia tesi di master in Olanda, in viaggio sul treno da New York a Montreal, mi appuntai alcune note su quello che “volevo fare da grande”: “Deve essere qualcosa in cui apprendo, in cui il tempo dia forma al cambiamento. Qualcosa su cui intervenga io, direttamente, a monte, nella strategia. Qualcosa che abbia un forte valore per la comunità a cui si rivolge, ma che al contempo le ispiri flessibilità, ottimismo e contaminazione. Qualcosa che onori un luogo, ma senza venerarlo come centro”.

Pochi giorni, ho ripensato a questi incontri, a questa frase, ai tanti scritti che avevo studiato sulla mission e sull’importanza di rispettarla per essere felici e proseguire con successo sulla strada che ci è propria. Ho respirato una volta in più, ripercorso studi ed esperienze, e quando ho espirato, ho declinato una proposta di lavoro bella e ricca, ma che mi avrebbe strappato a tutto questo, assorbito completamente in altro.

Qualche anno fa cedetti a una simile tentazione. Ora, ripensando a tutto questo, mi sembra di aver studiato tanto per potervi resistere. E, anche se fino a fino a primavera, l’idea di una grande rete europea di storyteller resterà solo un’idea, io le resterò fedele, per rispetto a tutti gli amici europei che l’hanno abbracciata e per rispetto a me, che, probabilmente, mai mi sarei perdonato di averla abbandonata.