sabato, marzo 14, 2015

Il valore del Cammino. Il Movimento Tellurico e l’esplorazione come unica attività a feedback sempre positivo

--> Imprenditori del cammino
Ciclo di conversazione sui valori personali, sociali ed economici dei costruttori di cammini.
Chiacchierata con Enrico Sgarella e Alberto Renzi di Movimento Tellurico.
 (Published by SKIN)



Logo Movimento Tellurico
Il cammino al sud piace lungo la direttiva est-ovest. Prima, il cinema ha portato alla ribalta la Basilicata Coast-to-Coast. Poi, nel 2012, il Movimento Tellurico ha manifestato il proprio impegno politico e civile per il governo del territorio con la lunga marcia dall’Aquila a Roma. C’era una città, l’Aquila, ferita dal terremoto del 2009. C’era una memoria da non perdere e al tempo rielaborare. C’era una ricostruzione che tardava ad avviare. La marcia, il cammino, sembrò una risposta per rimettere in sesto i rapporti umani crollati assieme agli edifici. Il Cammino sembrò la scelta giusta per il Movimento Tellurico, anche se che se l’anima del movimento, Enrico Sgarella, in realtà era uomo di mare, più da timone che da scarpone.
Parliamo con Enrico del Movimento Tellurico, in compagnia di Alberto Renzi che del movimento segue lo sviluppo delle azioni di marketing territoriale. Insieme, esploriamo in stile libero i valori personali, l’universo sociale e il rapporto con le strutture amministrative dei “partigiani della terra”. Così i tellurici si definiscono.

Dunque, la lunga marcia verso Roma. Perché siete arrivati al cammino per esprimere la vostra idea politica?
“Io sono un uomo di mare - esordisce Enrico – non avevo mai fatto cammini. Però nel 2012, mi sono trovato nell’urgenza politica di fare qualcosa per l’inerzia nella gestione dei danni del terremoto del 2009, per i danni che i ritardi stavano causando ai rapporti tra le persone. E le persone, da sempre, hanno organizzato la propria partecipazione politica in un corteo. Il Movimento Tellurico ha organizzato un corteo – circa 40 persone –, solo che questo corteo era fuori città e ci ha portato da attraversare trasversalmente l’Italia”.
“Il cammino faceva invece parte della mia infanzia – precisa Alberto -. Mio nonno, originario dei Sibillini, era protagonista della transumanza. Nel 2008 ho fatto il Cammino di Santiago e, successivamente, quando ho iniziato il mio percorso nel marketing territoriale e nella cooperazione, ho sposato il cammino in quanto esempio di pratica sostenibile”.

Ed è con l’intenzione di promuovere una pratica sostenibile che vi siete impegnati a partire dal 2012 per coinvolgere attivamente persone nelle marce del Movimento Tellurico?
“Il cammino – spiega Enrico – è un’esperienza pratica, invita all’agire. Camminando, volevamo mettere in moto le persone per avvicinarle alle comunità locali, alle associazioni, alle amministrazioni, così da avviare il passa-parola sul tema che a noi interessava: la prevenzione dei rischi ambientali. Siamo partiti nel 2012, per portare l’attenzione sui ritardi legati al terremoto del 2009, ma poi ci siamo detti che non occorreva aspettare il terremoto per camminare, per agire e per stare insieme. Così abbiamo dato continuità al nostro progetto, promuovendo altri cammini civili, per la festa della donna, per il 25 aprile, mescolando memoria e attualità. Per esempio, siamo andati alla ricerca delle targhe commemorative per ricordare come la gente ricordava. E con i cammini all’Aquila e poi a Modena abbiamo coinvolto persone attente alla tutela ambientale, con una visione ecologica, attente a non dimenticare la nostra storia. Il nostro motto è Deambulando solvitur”.
“Movimento Tellurico – continua Alberto – sta cercando di costruire un percorso stabile. Un cammino laico che attraversi e colleghi le piccole comunità. Siamo già in contatto con l’Associazione Borghi Autentici d’Italia e sicuramente ci sarà una sinergia per mettere loro a disposizione i nostri cammini e i nostri percorsi”.

Tracciando questi percorsi, che eredità intendete lasciare ai territori?
“Principalmente tre – risponde Alberto -. In primo luogo, la memoria, per evitare che le ferite del terremoto rimangano aperte in un sistema di negazione. Poi la sicurezza. Con la nostra azione, per esempio, abbiamo ottenuto la detraibilità delle spese edilizie pergli interventi di messa in sicurezza antisismica. Infine, il turismo, nel senso che stimolando il passaggio delle persone, pensiamo di contribuire alla ricostruzione del tessuto sociale”.

Non temete che queste promesse, specie l’ultima sul turismo, possa risolversi negativamente, così come le promesse di crescita economica disattese legate all’introduzione di molte aree protette?
“Sai – riflette Enrico – l’Abruzzo non è una terra semplice. La nostra vuole essere un’azione di sensibilizzazione. E quest’opera è più facile nelle piccole comunità dove riesci a incontrare l’amministrazione e le persone. Pensiamo a piccoli passi, come l’apertura di un albergo diffuso. Speriamo che i nostri interventi siamo come le ife dei funghi e che poi si propaghino”.

Per quali vie si propagano queste ife? Come le persone si legano a voi?
“I casi sono due – prosegue Enrico -. Da un lato, c’è un coinvolgimento diretto delle persone che lavorano con noi. E’ come un percorso di formazione. Beviamo in compagnia per trovarci la sera assieme a discutere e seminare amicizia. Credo sia un fenomeno simile a molte attività di volontariato. Dall’altro, c’è il coinvolgimento indiretto dei nostri eventi. Il cammino favorisce un approccio reciproco con la cittadinanza e poi genera un evento che crea attenzione”.

Pensate che l’attenzione che questi eventi generano sia sostenibile?
“Facciamo molta attenzione alla continuità e alla sostenibilità – prende la parola Alberto -. L’INGV – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – e la Protezione Civile hanno dato delle linee guida per la prevenzione del rischio. Noi ora cerchiamo di arrivare alla definizione di 10 passi e lavorare con le amministrazioni affinché si impegnino ad adottarne almeno uno. Le prossime marce potrebbero essere così cammini di monitoraggio delle azioni intraprese a seguito della prima lunga marcia verso Roma”.
“Comunque – aggiunge Enrico – resta l’amicizia tra i membri dell’associazione. Eravamo sconosciuti e ora ci ritroviamo regolarmente. Le persone che incontri e re-incontri, l’arricchimento reciproco. Ogni uomo è un esploratore e noi stimoliamo l’esplorazione che è l’unica attività umana a feedback sempre positivo, qualsiasi ne sia l'esito. E, quando l’esplorazione avviene a piedi è supportata anche dall’estetica della relazione. Camminare fianco a fianco riduce il contatto visivo e, assieme alla bellezza del paesaggio, favorisce un rapporto più intimo tra le persone. I nostri insomma sono sopralluoghi partecipati che creano relazione: mangiare insieme, camminare insieme”.

Allargare la partecipazione, impegnarsi in azioni amministrative. Come pensate che possano co-esistere queste due sfere: l’informalità, l’amicizia, i rapporti fluidi, da un lato, e le procedure amministrative e quelle organizzative, dall’altro?
“Il Movimento Tellurico – risponde Alberto – ha una sua forma progettuale. Partecipiamo a bandi, accediamo a finanziamenti, gestiamo rapporti con i sindaci, stringiamo patti di amicizia con altre associazioni. Per noi, però, è fondamentale che l’azione prosegua a prescindere dal bando o dal finanziamento”.
“E poi – aggiunge Enrico, filosofico – noi non vogliamo contribuire al PIL. Come diceva Kennedy, crediamo che il PIL contenga tutto salvo le cose per cui vale la pena vivere”.

E al di fuori del PIL, il Movimento Tellurico che mondo vuole costruire?
“Io – conclude Enrico – vorrei che ci fosse una connessione più stretta tra le persone e la struttura che ci contiene. Un rapporto più stretto tra mente e natura e anche un contatto diretto con la natura perché credo che l’unica conoscenza vera sia quella che ti arriva attraverso l’esperienza. Per questo a un giovane ragazzo che deve prendere delle scelte, direi di fare un giro in barca e uno a piedi. E’ lì che possono nascere buone idee, qualcosa di veramente tuo".

giovedì, marzo 12, 2015

Il valore del Cammino. Darinka Montico e la storia come dono

--> Imprenditori del cammino
Ciclo di conversazioni per scoprire i valori personali, sociali ed economici
dei costruttori di cammini.
(Published by SKIN)


Dal 2004, anno del diploma di laurea in fotografia a Londra, Darinka Montiko, originaria di Baveno, sul lago Maggiore, ha viaggiato molto. Adattandosi al mondo. In Nuova Zelanda è stata una spogliarellista, in Laos un insegnante di inglese, da qualche parte è finita anche per gestire un ristorante.
A Londra, in un casinò, massaggiava le teste dei giocatori di poker. Una notte, uno di questi sembrava più agitato del solito. Darinka cercò un orologio per capire che ore fossero, ma nei casinò il passaggio del tempo si deve mascherare. Non c’erano orologi. Il disagio del giocatore cresceva. Quello di Darinka anche. “Sorry, I quit, I need to go for a walk”, “Scusa, me ne esco un attimo, ho bisogno di fare una passeggiata” disse al giocatore.
Si licenziò e seguì il messaggio che ogni volta leggeva nelle scarpe in dotazione al lavoro: “Go walk”, “Cammina”. Camminò fino a casa, prese l’aereo per l’Italia, raccolse qualche dritta con il camminatore per eccellenza, Riccardo Carnovalini, e disse alla famiglia che partiva per Palermo e che sarebbe tornata a casa a piedi. “Domani piove” dissero i genitori assecondando la figlia come i folli.  Ma nonostante il brutto tempo, Darinka partì, senza soldi, con l’idea di raccogliere i sogni delle persone incontrate.
Prese il via così Walkaboutitalia di Darinka Mantico. 2910 chilometri, sette mesi e dieci giorni di cammino più tardi, in diretta via skype da Pretoria, Sud Africa, dove scrive il suo primo libro, raggiungiamo Darinka. Io con un caffè ancora caldo, lei con una crostata in preparazione, ritorniamo sui passi di Walkaboutitalia.


Che cosa cercavi quando sei partita per Palermo?
“Da troppo mi adattavo al mondo. Per una volta, ho pensato che il mondo si dovesse adattare a me. Quando sono uscita dal casinò, ho camminato per alcuni chilometri nella notte fino a casa. In quel tragitto, ho pensato alla frase di Jep Gambardella ne La Grande Bellezza: “La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”. Ho pensato di non dover aspettare altri 30 anni per arrivare alla stessa conclusione.
Così sono ritornata ai miei sogni di bambina. La fotografia, il viaggio, la scrittura. E poi la raccolta dei sogni. Mi piaceva l’idea di essere come Atreiu ne La Storia Infinita, un baluardo contro l’avanzata del nulla. Quando ho parlato con Riccardo Carnovalini, ho trovato il coraggio per pensare che tutto ciò fosse possibile. Così ho aperto un blog, preso uno zaino, scelto le scarpe e sono partita. Senza soldi. Un po’ perché era romantica l’idea, un po’ perché proprio non ne avevo.
Sul percorso ho trovato un sindaco marpione, qualche convento non troppo ospitale e qualche carabiniere troppo solerte sui pericoli della strada, ma per il resto ho attraversato l’Italia per scoprire un potenziale umano stupendo”. 

E a questo “potenziale umano stupendo”, quale eredità volevi lasciare con il tuo passaggio?
“Fondamentalmente, un messaggio di speranza. Io, una qualunque come loro, potevo seguire il mio sogno. Sul blog di Repubblica, qualcuno mi ha criticata, chiedendosi, senza soldi, in che modo riuscivo a mangiare, visitare i musei, dormire. Ma in tanti hanno raccolto il messaggio. In Toscana, una persona mi ha regalato una torcia, dicendomi che il mio passaggio aveva riacceso la sua speranza. Qualcuno so che ha cambiato lavoro. Spero sia andata bene”. 

Chi sono le persone che hanno raccolto il tuo invito e hanno supportato concretamente il tuo percorso?
“Sconosciuti. Avevo vissuto a lungo all’estero non avevo più contatti in Italia. Ho seguito il caso. Coach Surfing, mail alle Proloco, Facebook, gruppi culturali, passa-parola per la strada, come a Corleone, dove ho dormito gratuitamente in un B&B aiutando il proprietario ad aggiornare le foto del sito. Sulla strada ho poi raccolto gli articoli che uscivano sul mio percorso e questo mi ha aiutato a trovare nuovi contatti. Fino a quando mi hanno intervistata a Radio DJ, le visite al blog si sono impennate e ho avuto decine di persone che si candidavano a ospitarmi”. 

A loro cosa donavi in cambio?
“A volte una pesca rubata lungo il percorso, a volte un sorriso, più spesso una storia. Fondamentalmente, la mia storia. Alcuni l’avrebbero voluta vivere. Altri amavano il viaggio e volevano avere a casa loro persone con gli occhi sul mondo. Sì, era questo che ho dato in cambio, una storia. Per esempio, una famiglia mi ha fatto parlare tutta la sera con i bambini, perché volevano che l’anno successivo loro facessero qualcosa di simile”. 

E nella tua storia cos’era più coinvolgente di altre storie?
“L’autenticità, credo. Un utente di Coach Surfing non credeva alla mia storia, al fatto che stessi percorrendo l’Italia a piedi senza un soldo. Quando ha capito che era vero, mi ha aperto la porta, abbiamo parlato a lungo, siamo diventati amici, lo siamo ancora”. 

Credi che questa autenticità possa sopravvivere se di questa scelta ne fai un “lavoro”?
“Ora sto scrivendo il libro su Walkabaoutitaly e in estate e in autunno sarò in giro per l’Italia, di nuovo, con una bicicletta di bambù a presentarlo. Poi non lo so. Conosco amici blogger che consigliano le strutture in cui alloggiano e ricevono una percentuale sulle prenotazioni.  Ma questo richiede una serie di filtri che io non riesco ad avere. Ho anche parlato male di una visita guidata che ho fatto, perché il marinaio aveva gettato una sigaretta in mare.
In futuro, mi piacerebbe fare il giro del mondo in bicicletta o camminare in Bolivia a sostegno di un progetto per l'infanzia curato da un amico.
Seguirò il flusso. Se non hai piani, non puoi sbagliarti”.