martedì, aprile 10, 2012

La pausa

“Su questa cima, qualche anno fa, ho trascorso una delle mie prime notti all'aperto tra un giorno di cammino e l'altro. Era un bel periodo. Lo zaino era come uno scudo: quando lo mettevo sulla schiena passato e futuro si allontanavano, restava solo il presente, riflesso in un bicchiere di vino rosso e in una fiamma oscillante”. L'uomo che aveva parlato si era rivolto all'amico con una leggera malinconia. Era seduto nello stesso luogo in cui erano ambientati i suoi ricordi, ma il dialogo con il paesaggio non era più quello di un tempo: su boschi, valli e crinali si proiettava sempre l'ombra di progetti e piccoli rimpianti. Tra allora e oggi non era successo nulla di drammatico o di rivoluzionario: c'era stato solo un lento fluire, che però sembrava aver lasciato un po' di sabbia sul fondo, come un fiume in pianura.

“Resta pur sempre una pausa” ribatté il compagno, che aveva percepito la nostalgia di chi gli stava accanto. “Sei ancora in grado di sentire il bisogno di salire fino a qui e parlare a lungo con un paesaggio silenzioso, che non inganna le tue paure con messaggi, rumori, grandi numeri. Sei ancora in grado di prenderti una pausa e godertela”.

“Mi posso ancora prendere una pausa, è vero, ma forse non riesco più a godermela. Forse è proprio questo il punto. Sono cresciuto troppo per non sapere che prima o poi qualcuno, o peggio ancora te stesso, ti rinfaccerà la pausa che ti sei preso”.

Il vento si portò via subito quella frase, ma il suo eco restò tra i due seduti sulla cima. Neanche chi prima aveva replicato alla malinconia sembrava infatti capace di sfuggire a una sentenza che, con meno onestà, anche lui aveva già intuito da tempo. Il pensiero cercava una via di fuga in situazioni che suggerissero conclusioni diverse: un gruppo di amici che tirava a tardi, una famiglia che si riuniva per una grigliata all'aperto, un genitore che accompagnava il figlio alla cerimonia di laurea. Ma nessuna di queste situazioni era davvero al sicuro dal pericolo che la frase dell'amico aveva svelato: tempo dopo quei momenti potevano essere rimpianti per non essere stati dedicati ad altro.

L'autore della sentenza aveva seguito il flusso di pensiero del suo interlocutore. Vicini, in silenzio, lontano dal mondo, è difficile nascondersi davvero. “Qualcuno può davvero godersi le sue pause – disse quindi riprendendo quel filo silenzioso –, godersele anche a lungo, ma non noi. Io e te è come se vivessimo sempre sdoppiati in due. Una parte di noi agisce e un'altra ci guarda, cerca l'origine di ciò che facciamo nel passato e ne proietta nel futuro le conseguenze. E' un dialogo che può regalarci anche molto, perché una delle voci sarà sempre lì a suggerirci di fare di più, di meglio o di diverso. Ma l'essere, così facendo, sarà sempre preda del divenire e la quiete, quella che ti consente di specchiare il presente in un bicchiere di vino, sarà privilegio raro”.

“Tornerai di nuovo quassù?” chiese allora chi ascoltava.

“Sì – fu la risposta a sorpresa – fosse anche per inseguire un ricordo, continuerò. Voglio restare vicino ai miei ricordi ed essere pronto a riabbracciarli appieno alla prima occasione utile. Sono troppo vecchio per pensare che una delle due voci abbia veramente ragione. E non vorrei che alla fine il rimpianto più grande diventasse davvero la rinuncia a queste pause”.

E' sempre piacevole lasciarsi con l'intenzione di rifare ciò che si è appena condiviso. Allora i due amici ne approfittarono per conservare quel piacere intatto e, senza aggiungere altro, si incamminarono sulla strada del rientro.

1 commento:

Adriano Maini ha detto...

Coinvolgente, lirica elegia della natura!