giovedì, dicembre 15, 2011

L'attesa del carabiniere

Dapprima, almeno così credeva, la storia del carabiniere incontrato per caso nel cuore della notte, era stata solo una storia, di quelle scelte per sottolineare agli amici la vena eccentrica e leggermente libertina della propria vita. Tra i piccoli imprevisti di un lungo viaggio e i ricordi alcolici di un'adolescenza un po' lontana, si era inserito anche l'aneddoto del carabiniere conosciuto nel cuore della notte.

Sandra vi si era imbattuta lungo un marciapiede, mentre un po' annebbiata dall'ultimo americano conduceva, per cautela a piedi, la bici attraverso le vie del centro di Bologna. I vocii delle osterie del Pratello erano già lontani, confusi con la scia di suoni dei viali quasi deserti e delle poche auto che vi sfrecciavano veloci. Il carabiniere parlava con un collega appoggiato al muro, facendo su e giù lentamente dal marciapiede. Quando Sandra arrivò, lui sorrise e le fece strada in modo plateale e lei, un poco folle come sono spesso le persone sole dopo una lunga relazione, stette al gioco. Sandra non aveva mai avuto problemi a creare una sintonia immediata con sconosciuti di qualsiasi genere. Ora che tra quelli sconosciuti ci poteva essere l'uomo con cui ripartire, l'informalità spontanea trovava addirittura nuova linfa nel desiderio di trasformare un incontro qualunque nella svolta tanto desiderata. Rispose al sorriso del carabiniere, attratta da quei due piercing all'orecchio che lì, brillanti sopra la divisa, anticipavano quelle leggere incoerenze da cui sempre era stata attratta. Fece di più. Sottolineò con marcato accento bolognese la cortesia del rappresentante delle forze dell'ordine, gli allungò la bici e gli chiese se poteva approfittare della sua protezione per prepararsi una sigaretta. Lasciò quel marciapiede a metà tra viali e osteria solo dopo oltre un'ora e mezza e un altro paio di sigarette.

Nei cinque o sei giorni successivi la storia dell'incontro casuale con l'uomo della sua vita fece da contorno, in una cornice auto-ironica, a quasi tutti gli aperitivi. La storia era sempre inserita nel contesto di un vaga ebbrezza di follia, glissando su ogni possibile reale sviluppo. Sandra infatti aveva parlato a lungo con il carabiniere con due piercing all'orecchio, ma non aveva avuto né il coraggio di chiedergli un recapito, né la sfacciataggine di dargli i propri. Il pensiero in realtà le era passato per la testa, ma il finale era stato troppo veloce. La radiotrasmittente del carabiniere aveva gracchiato e dopo tanto parlare i due si erano allontanati con la goffaggine formale di chi tutto a un tratto prende coscienza del lungo viaggio fatto con il proprio interlocutore, ma non sa se salutarlo come lo sconosciuto che era poche decine di minuti prima o come il confidente inatteso scoperto strada facendo. Alla fine dalla concitazione uscì solo un insoddisfacente “dai, è meglio che vada, ci becchiamo”. Canonico, giovanilistico, inutile.

L'inutilità di quel saluto troppo veloce, Sandra la scoprì alcuni giorni dopo cercando di spiegare con sincerità a se stessa perché raccontava così spesso e con tanta sospetta ilarità la storia dell'incontro casuale con il carabiniere. Lo faceva, scoprì, perché in quei novanta minuti aveva davvero fiutato le tracce che, nelle sue esperienze precedenti, l'avevano portata risolutamente a un amore. Il carabiniere aveva giocato con disinvoltura nel campo dell'ironia. Non in quella delle frasi ossessive, che devono per forza condurre a una risata scontata. Ma in quella più brillante, sotto cui si poteva celare una serietà intrigante da scoprire con più calma. Il carabiniere aveva viaggiato con piena familiarità tra i nomi del jazz e il popolo dei locali più alternativi: era un uomo al centro della rete e il suo fascino si allargava a quello di tutte le persone che attraverso di lui avrebbe potuto conoscere, frequentare. E poi veniva da lontano, da Lecce. E anche questo di nuovo arricchiva l'interesse della persona con l'interesse del luogo da cui proveniva, del luogo che, con lui al fianco avrebbe avuto la possibilità di esplorare da una prospettiva più personale.

Erano bastati quei tre motivi a condurla in quel ristorante, dove ora si trovava da sola. Una collega sembrava aver capito chi era il carabiniere incontrato – uno spesso in borghese a quanto pare – e le aveva detto di averlo visto più volte con gli amici alla pizzeria napoletana di via San Vitale.

Almeno una volta c'era voluta andare in quella pizzeria, senza dirlo a nessuno. E ora era lì, un po' in imbarazzo, perché in realtà lei in quel luogo non aveva nessuna vita e stare in un locale senza vita troppo a lungo destava, nei tavoli circostanti, un interesse fastidioso da sostenere.

Ma intanto era lì e con una leggera ansia seguiva i propri pensieri chiusi in un circolo claustrofobico, come nato da uno di quei sogni un po' cupi che a volte capitano al mattino. Si chiedeva se andare al Marsalino per il concerto di ottoni dei vecchi amici sardi; o se invece seguire una collega in una discoteca in Strada Maggiore per provare a conoscere nuova gente; o se invece, ancora, restare lì e dare una mano al caso. Continuava a viaggiare in circolo tra queste tre ipotesi, senza mai trovarne una davvero soddisfacente: in ognuna le pareva che si nascondesse un'imperfezione che non la rendeva davvero la migliore, quella perfetta per lei.

Per questo aveva l'ansia. Si sentiva un po' troppo spesso invogliata a mettere la vita in pausa, in attesa di trovare la strada giusta, quella chiaramente da percorrere. Solo che mentre lei era in pausa il tempo continuava a passare e non era sicura di poter attraversare quell'attesa senza pagarne delle conseguenze.