domenica, maggio 22, 2011

Il foglio con l'avviso

“Siamo a mercoledì e non c'è ancora nessun imprevisto” pensa Francesco. Non gli ha detto nulla il suo capo-reparto, non gli ha detto nulla il suo capo-macchina, non gli ha detto nulla neppure il suo compagno di macchina. Se lo ripete sottovoce ma ormai ne è certo: sabato non si lavora. Sabato poi i figli sono fuori con la scuola tutto il giorno: gli pesa ammetterlo ma a volte lo infastidiscono proprio quelle creature egoiste, invadenti e ribelli. E' come se se ne sentisse schiaffeggiato, irriso nelle sue passioni che rispolvera solo a tarda notte quando nessuno gli ricorda che il liceo è lontano e che ora il dovere di essere prima padre e marito arriva prima che il diritto di essere pienamente se stesso. La notte, quando il sonno non arriva di corsa, apre i suoi testi in grande formato sui tessuti antichi. Li acquista sempre tra l'ironia malcelata delle commesse. L'eviterebbe acquistando in rete, ma online ci sono quindici euro di prezzo di spedizione: meglio un po' di disagio allora.

Sabato, comunque, non si lavora. Giulio ne è sempre più certo. E allora andrà. Senza bambini, senza moglie, salirà in auto, un po' di rock facile, di quello che non ascolta più, e andrà in Toscana tra i suoi mercanti di stoffe. Li conosce già personalmente. Telefonerà loro e chiederà i pezzi pregiati dal costo accessibile. Sa già che lascerà lì i più belli e cari, ma qualcosa di buono nella piazza di Arezzo sarà certamente suo al ritorno. E allora per giorni avrà nuove emozioni. Gli piace la notte tenere tra le mani quelle stoffe antiche, respirarne l'odore, riviverne la storia. Ama in particolare i tessuti di festa scelti dai popolani. In loro rivive il proprio sogno, la ricerca di un attimo eccezionale, il privilegio della forma alla sostanza, almeno per un istante.

Sabato partirà dunque. E' venerdì ormai. Gli mancano solo le ultime ore di lavoro: forse saranno più di otto, ma che importa, il giorno dopo lui partirà. Scherza con il collega vicino al marcatempo. Vi ci si avvicina senza il solito carico di tensioni. Poi, è un attimo, alla porta vede il foglio. Quello che da sempre recita lo stesso messaggio: sintetico, chiaro. “Sabato lavorativo. Per informazioni rivolgersi alla direzione”.

Francesco si ferma di fronte al foglio. Come se una storia di lunghe battaglie collettive fosse scomparsa d'un tratto, si sente solo, completamente. Lui, da un lato, loro dall'altro. Il suo sogno del giorno dopo sta già morendo. Si chiede se qualcuno dei colleghi sta vivendo la stessa sensazione di vuoto, ma non lo sa, non si parla troppo. Si chiede se la direzione si risentirebbe a ricevere un suo no, per un viaggio a Firenze da liceale, ma non lo sa perché non la vede quasi mai. E' solo. “Ma forse va bene così – pensa – ho un lavoro e va bene così”.

mercoledì, maggio 04, 2011

La lettera

“Carissima,

cercherò di essere sobrio e asciutto. Voglio evitare esplosioni di rabbia o accuse troppo forti. Scavano solchi e lasciano tracce indelebili: meglio farne a meno. Io almeno ci provo.

Deduco dal tuo silenzio, che si protrae ormai da oltre due settimane, che è tutto finito, cancellato. Un anno e mezzo cancellato nel giro di poche ore: i tempi lunghi con cui avevamo colmato tutte le nostre distanze spinti verso il passato con la decisione di un attimo. Una decisione tua e di nessun altro: la potevo immaginare, forse, ma non l'ho mai udita.

Il tuo silenzio ora mi pesa, perché non mi toglie solo il futuro, ma è come se mi avesse portato via anche il piacere di tutti i momenti trascorsi assieme. Vedo viaggi, letture, cene condivise con te e vedo dissolversi la luce che li circondava. Io al fianco credevo di avere una persona che voleva costruire un percorso. Invece ne avevo una che pensava solo a come porvi termine. Forse non è stato sempre così, ma ora non vedo che questo.

Proverò comunque a conservare i ricordi più belli. Salverò quelli, i pochi, che il dubbio non avrà scalfito. Ci tengo. Anche perché non vedo quale altra eredità possa lasciarmi una storia finita così: solo con il silenzio.

Ovunque tu sia, ti mando un forte abbraccio per consolarti quando, forse, ti assalirà la nostalgia per quello che hai voluto distruggere in un solo attimo e che poi scoprirai non è così semplice ricostruire.

Buona strada”

Mattia ripiegò il foglio in cui aveva stampato il proprio messaggio di posta elettronica e lo lasciò cadere sul tavolo in mezzo alle birre prima di adagiarsi all'indietro, appoggiato allo schienale della sedia. Alle spalle passavano autobus e motorini, c'era un gran caos. Aveva scelto apposta quel luogo per parlare della sua “fine” con l'amico: i luoghi caotici gli sembravano più familiari, più densi di occasioni e opportunità per ricominciare. Si recava in mezzo al caos anche una decina di anni prima quando da lasciare alle spalle c'era un esame andato male o una bicicletta rubata poche ore dopo il suo acquisto.

“E' arrivata una risposta di qualche tipo?” chiese Marco per riempire il silenzio senza una domanda troppo scomoda. Aveva fatto molti chilometri per essere lì e strada facendo aveva promesso a sé stesso che avrebbe resistito alla tentazione di dare consigli. Avrebbe solamente ascoltato, come era giusto in quei casi.
“Una, quasi immediatamente, laconica. Diceva che la sua versione dei fatti non era esattamente come la mia. Che non avevo saputo o voluto leggere i segnali. Che il mio orgoglio aveva giocato una parte non trascurabile a far crollare tutto. Mi ero fatto sentire lontano, come se lei fosse in basso, molto in basso nella gerarchia delle priorità”.
“Credi che sia un po' così?”
“Ero lontano. Ma per ragioni che lei conosceva fin da subito e che doveva essere ovvio capire”.
“Ne avete mai parlato prima?”
“No, no che ne ricordi. Penso che nel nostro caso il fastidio per i problemi abbia preceduto la coscienza delle cause che li generavano”.
“Già, come in altre tue occasioni, Mattia. Ho la netta sensazione, scusa se te lo dico, che tu sia un formidabile storico, ma un pessimo politico: ricostruisci sempre il passato in modo impeccabile, ma non prendi mai la decisione giusta nell'amministrare il presente”.
“Il passato si riordina. Il presente invece ci mette in gioco. Non credo di essere il solo a gestire meglio il primo del secondo. E poi quando manca il futuro tutto sembra sempre più bello, come quando si giocava da bambini”.

“Sì da bambini – fece Mattia, vedendo l'amico indeciso sul significato delle sue parole. Quando ti veniva a trovare un amico da lontano, si passava tutta la giornata vivacchiando, come se non si riuscisse a trovare l'equilibrio perfetto. Invece quando i genitori dicevano che era ora di andare, arrivava sempre la malinconia: c'era la sensazione di perdere il tempo migliore, che il gioco in corso, scoperto dopo lunghi tentativi, fosse il più bello in assoluto. Non ti è mai capitato?”.
“Ma allora si era bambini”.
“Sì e si pensava che per i grandi fosse diverso, che fossero più sicuri nelle scelte e più liberi nel tempo di farle. Per me invece è cambiato ben poco”.