martedì, dicembre 14, 2010

Solo, sull'isola, l'uomo che accelerava il tempo

Per una volta, ho ringraziato fino in fondo di essere ciò che sono.
Difficilmente, altrimenti, sarei stato lì ad ascoltare.


Un colpo di tosse sporco accentuò il tono di rimprovero di Marcello verso l'amico. Italo non poteva essere davvero quello che rispondeva prima al cane che a lui, non era possibile, non era accettabile. Un cane, per giunta stupido, non poteva stare lì tra i piedi, non poteva continuare a essere il centro di quel tavolo dove si parlava di Mozart, di etica, e di Aarus, lo sconosciuto scrittore svedese che Marcello aveva incontrato da ragazzo, quando pensava di leggere in ordine alfabetico tutta la biblioteca di Venezia. Quel cane era davvero troppo. Non un animale ma l'abiura della libertà dopo una vita trascorsa a impersonarla.
“No, Italo, il posto del cane è là fuori in terrazza” disse Marcello ancora una volta la sera a nordest prima di partire per l'isola greca di Milos.
Italo versò allora all'amico un altro bicchiere di grappa, l'ultimo prima di un saluto dal sapore definitivo. Non aveva problemi ad accettare Marcello per chi era diventato, ma non poteva accettare che Marcello non facesse altrettanto con lui. L'avrebbe salutato presto, dunque, lasciato salpare solo, in compagnia dei suoi fantasmi, verso l'isola in cui lui, anni prima, era arrivato con un giorno di ritardo. Un giorno che ancora non si perdonava.

Italo e Marcello erano amici da sempre. Pordenonese il primo, veneziano il secondo, erano entrambi rimasti nella provincia senza perdere mai contatto con le idee del centro. La politica, le biblioteche, i circoli letterari, le scelte individuali li avevano visti protagonisti. Le loro strade si erano però unite principalmente per lei, Sonia, moglie di Marcello, amica più cara di Italo. Persona speciale – eclettica ma comprensiva, intelligente ma sensibile – Sonia era stata anche colei che aveva avvicinato per la prima volta Marcello a Milos. L'avevano sfiorata più volte in anni di navigazione fianco a fianco nel Mediterraneo e fu sull'isola che la donna scelse di ritirarsi assieme all'uomo che amava per allontanarlo dall'alcool. Gli disse di rifugiarsi su quel lembo di terra in mezzo al mare, lontano da tutto. Gli sarebbe rimasta vicino lei, a patto che lui smettesse di bere. La forza dell'amore, costruito giorno dopo giorno per trent'anni, ebbe la meglio sulla resistenza del vizio. Marcello, lì da solo sull'isola, con la sua donna di sempre, smise di bere.

Assieme alla pace, però, arrivò anche il male. Un tumore rapace che in Sonia, là da sola sull'isola, con Marcello, trovò lo spazio per correre ancora più forte. L'uomo ebbe poco tempo per pensare. Chiamò Italo per la paura di affrontare da solo l'agonia. L'amico rispose: sette giorni dopo, chiuso l'ufficio elettorale, sarebbe stato lì da lui. Il settimo giorno fu di troppo. Marcello chiamò di nuovo Italo. Questi corse di fretta all'aeroporto, senza più speranza di fuggire al proprio senso di colpa. L'altro invece corse solo alla bottiglia: ne esplorò il fondo per dire all'amico a cui aveva regalato un tormento senza data di scadenza che era stato lui ad accelerare il tempo, perché da solo quel dolore non poteva essere sopportato oltre.

Finì la bottiglia, disse questo all'amico e poi scoprì la passione. La trovò sul continente in uno dei viaggi di ritorno: una piccola imprenditrice, una “partita Iva veneta”, che in una sola notte di amore scatenato riuscì a regalare a Marcello più orgasmi di una vita intera a fianco dell'amore davvero amato. La partita Iva, che aveva sempre preferito le imprese alle biblioteche, in fondo si affezionò davvero all'uomo che aveva letto Aarus credendo di poter esplorare tutti gli autori della biblioteca di Venezia dalla A alla Z. Vi si affezionò così tanto da accettare anche lei un esilio sull'isola greca. Fece come Sonia: disse a Marcello che si sarebbe fermata con lui se avesse smesso di bere. Lui lo fece, ma nascose in credenza l'ultima bottiglia. All'amore senza sesso ci si può dare integralmente, ma al sesso senza amore occorre invece una via di fuga. La partita Iva tornò allora a fare impresa, legandosi a un uomo più giovane che in vero le regalava anche più piacere. Marcello invece rimase sull'isola. Solo, senza più amore, senza più passione, senza alcuna ragione per tornare, ma senza neppure alcuna vera ragione per rimanere.

Il suo unico legame con il mondo era Italo.

Quell'ultima sera a nordest, quando gli disse di odiare il cane che a suo parere gli toglieva lucidità, Marcello sapeva di poter perdere anche quell'ultimo appiglio. Ma non poteva fare diversamente. Voleva solo essere coerente. Era stato coerente nella cultura fino a sognarsi enciclopedico. Era stato coerente nell'amore, fino ad ucciderlo per arrestarne il dolore. Era stato coerente con la passione, evitando di riconoscerle la fedeltà che aveva riconosciuto all'amore vero. Ora sarebbe stato coerente con le proprie idee, anche al costo di perdere l'unico amico rimasto.

Marcello non si sentiva coraggioso. Solo non credeva di doversi tradire per paura del futuro. L'aveva già accelerato una volta per amore di una donna. L'avrebbe fatto di nuovo per amore9 di se stesso.

giovedì, dicembre 09, 2010

Il bar di Genova

E' giovedì 9 dicembre. Sul porto di Genova torna il traffico di un giorno di lavoro e la luce di un sole estivo. Uomini con i volti scavati da vicoli stretti e da orizzonti larghi fumano sigarette attorno a piccoli tavoli tondi. Dentro, un uomo di colore, forse alto due metri, beve il suo caffè.

Il barista, carne albina e accento ligure, chiude il rubinetto e si volta verso le sue donne: la moglie creola, forse caraibica, e la figlia meticcia che riassetta la cucina assieme al compagno cinese. "Ragazze - chiede -, ma il marocchino è passato a pagare?".