martedì, luglio 27, 2010

Gonna rise, find my direction magnetically

Non c'è il silenzio che voglio quando scrivo. Non voglio il silenzio che cerco quando scrivo. Sento il rumore delle note, la voce che si mescola alla chitarra, la mente, la penna che salta da un punto all'altro in una deriva casuale ma non del tutto. Oggi mi diverte così. Vedo immagini, ma non sono solo immagini. Sì, credo che siamo cose vere, credo che lo siano davvero. No, non si toccano, ma ti toccano, circondano il pensiero, l'orientano, lo traducono, lo svuotano, lo proiettano, lo fanno ripartire.

Ricordo, certo, ricordo. Mi sembra di essere in viaggio verso l'Abruzzo, l'odore della Spagna, del Camino che ti viene incontro: manca poco alla partenza vera, quel viaggio la anticipa, la sottolinea, ne fa crescere la voglia. Sento il sole che batte sul braccio sinistro, sento il rumore del motore che tiene la velocità mentre la strada attraversa l'Umbria. E' campagna, voglia di birra, voglia di parole che fuggano dalla forbice del tempo, di idee che respirino e ti facciano respirare, di utopie che gonfino l'orgoglio, di prospettive che ti facciano ringraziare il tempo passato per costruirle.

Immagino, forse, forse immagino anche. Sto così bene con il mio pensiero che non ho paura di liberarlo, di seguirlo docile dove si scaglia improvviso. Mi piace quello che mi porta a vedere, mi piace cavalcarlo come fosse una jeep in fuga dalla nube di polvere che alza, a cavallo dell'orizzonte che divora e che apre. Vedo della sabbia che finisce in mare, grande spazio alle spalle, grande spazio di fronte. Non ci sono ancora, ma vedo, immagino, creo. Odo una voce straniera, non la capisco, mi parla, mi fa gesti, si avvicina. La guardo e sorrido. Non capisco cosa possa pensare, potrebbe forse anche pensare male, essere aggressivo, ma sorrido. Odo la voce, ma vedo già il tè che sarà versato per rinfrescarla quando i gesti avranno tolto il mistero delle parole incomprensibili. Aiuto a spingere il carrello fuori dalla sabbia e prendo il tè che sapevo sarebbe arrivato.

Avrei quasi voglia di ballare, alzare il volume e seguire il ritmo delle cellule che vibrano, ma resto qui. Chiudo il video sulla tastiera per lasciare alla musica anche quell'attenzione che mi rubava la creazione delle parole. Ancora più rumore di note e di voce che si mescola alla chitarra, solo musica, solo parole.... gonna rise, find my direction magnetically. Non so più se ricordo o immagino, ma vedo, ed è troppo piacevole vedere con la certezza di essere l'unico in quel posto a farlo, l'unico che lo potrà mai fare. Se non ve lo racconto, scusatemi, sono sicuro che mi potrete perdonare. Ascoltate.

martedì, luglio 13, 2010

L'orizzonte improbabile e il suo costante inizio

Alla fine mi ha detto: è bello. E quello che mi pare bello soprattutto è che parli di tuo nonno, della tua storia personale. Non sei semplicemente venuto a prendere la nostra sventura, haio portato la tua. Questo mi piace.
(E. Carrer - La vita come un romanzo russo)


Intrappolata per mesi nel labirinto di certezze e responsabilità di una rispettabile vita stanziale, è riemersa la voglia di viaggiare, di andare, di stendermi su letti diversi, di raccogliermi in lettura dentro bagni inesplorati, di scendere per scale ripide, di pestare pavimenti scricchiolanti. Adoro correre via leggero con una mano sul volante: a bassa velocità, così che la strada non è una linea da tracciare ma uno spazio ampio, curvo e comodo in cui danzare al ritmo di musica. Ne risulto euforico: sono così sincero che la gente, ebbra di verità, pensa alla fantasia.

Di fronte a una grappa scura come il legno, profumata come il bosco dopo la pioggia, Francesca, che mi ha conosciuto a lungo, mi ha perso per molto e mi ha infine trovato cambiato quasi mi rimbrotta: “Silvio – mi dice – non siamo in un romanzo. Qui la verità non vince sempre”. Lo so, lo so, non c'è bisogno di ricordarmelo. Anche se sono ottimista, anche se, con un po' di fortuna e di tenacia, credo che alcuni degli orizzonti di un ragazzo di belle speranze possano diventare traguardi a portata di mano, anche se sono convinto di tutto questo, so che tanti progetti sono solo illusioni che non lascio morire, mondi impalpabili che hanno come unico aggancio la tenacia delle mie convinzioni.

Ma non è proprio questo ciò che affascina, ciò che, nel momento giusto, rende un bicchiere di grappa in mia compagnia leggermente più alcolico, più stordente, più gustoso di quanto non lo sia in compagnia di tanti altri? Chi ha la certezza di ciò che possiede e la completa fattibilità di ciò che desidera costruisce un mondo che prima o poi finirà. Chi invece dubita di cos'ha e si prefigura un orizzonte improbabile va incontro a un un mondo che ora e sempre starà per iniziare.

“Non pretendo un romanzo a lieto fine, Francesca, questo no, almeno tutte le parole per scriverne uno mio, questo sì, davvero lo esigo”.

lunedì, luglio 05, 2010

Il personaggio che mi invidiano

Cerca per un po' la parola e infine la trova, nella mia lingua: “Sono invidiosa – dice – invidio la tua vita”. Sorrido interrogativo e cerco l'errore, ma non c'è. E' la parola giusta: la donna venuta dalla Germania per rivedere l'uomo conosciuto in fretta due anni prima vuole dire esattamente ciò che dice a me, nella mia lingua, l'altra sera nelle colline di Firenze.

So che è così, so che è vero, perché non è la prima volta che mi capita di sentirmi intensamente vicino a una persona molto lontana. E so che è così perché non si raccontano i fatti più intimi della propria vita togliendo loro tutte le illusioni che li rendono sopportabili, spiegabili, familiari, presentabili a chi si vuole solo intrattenere in un'attesa casuale. Si racconta chi si è e non chi ci si racconta di essere solo a chi si vuole lasciare un'eredità, un vincolo di responsabilità, un legame che disegna l'unicità di una conoscenza. E' come se quella donna mi avesse lasciato un pezzo di sé per farlo vivere nel mio mondo, per lei così più grande del suo: “Sono solo quello che ti ho detto ora non ciò mi racconto ogni sera senza credermi, senza prendere sonno: sono solo quello, però se lasci aperta una porta del tuo mondo, ho la sensazione vera di poter essere molto altro”.

Ti lascio volentieri una porta aperta. Forse così il mio mondo sarà davvero e sempre perfetto e stimolante come credi tu, senza cedere cedere ai momenti qualunque e lasciarsi imperfetto, superficiale, abulico, improduttivo, chiuso. Perché da vicino anche il mio mondo a volte denuncia qualche crepa: non è così facile ricevere le storie da chi ti sta vicino ogni giorno, non è così facile regalare la propria. Un racconto lontano è come un libro: può essere e non essere allo stesso tempo. Un racconto vicino, invece, è, è un fatto e si dipinge nella sua invadente presenza: diventa, traccia, eco, binario, orizzonte. E non sempre si ha la voglia, la forza o la capacità di raccogliere o lasciare un'eredità così pesante e precisa.

Comunque la porta rimarrà aperta. Tra un capitolo e l'altro, cercherò sempre di trame degne del personaggio che tu addirittura senti di invidiare.