mercoledì, marzo 24, 2010

Quotidiane vicissitudini di un ego liquido

Supera la periferia e accelera, supera i camion, supera le auto, supera i treni, gli altri quelli normali. Sul binario rettilineo steso in mezzo a una pianura senza punti di riferimento, la velocità si perde in un sibilo che ti lascia immaginare senza prove relative. Avevi camminato mezz'ora per raggiungere la vicina stazione, attraversando i corsi ortogonali di Torino, fai appena in tempo a sistemarti prima di scendere tra gli angoli acuti e ottusi dei portici di Bologna. Finalmente a bordo della Freccia ti apri al tempo che corre e ti godi il tuo personalissimo delirio neofuturista. Attorno, utenti del mondo primario della rete rimangono impassibili, mentre i loro corpi si spostano da un punto all'altro del loro secondario contesto fisico: postano e dunque sono, dove e quando importa solo fin quando offre loro uno spunto alle rispettive narrazioni digitali.

Tutto elettrizzato dai virtuosismi del perenne contatto con la rete Internet, con la massa alleggerita dalla velocità che cresce ancora sui binari della rete fisica, mi sorprende quasi l'eco di un bisogno antico. Spingo il bottone per ritirarmi il minimo necessario a ciò che rimane del mio vetero ego biologico, ma non succede nulla. Cazzo, cazzo, la porta del bagno è rotta e il mio essere liquido in una società fluida diventa d'un tratto difficile da gestire senza un tubo fisico in cui farlo scorrere.

martedì, marzo 09, 2010

La piccola percentuale di penna adulta e mente bambina

Ricordo la mattina nell’aula di via Centotrecento a Bologna in cui lo studente più artista di noi professò la sua fede per la narrativa libera e il suo scarso interesse per le gabbie argomentative del saggio. La docente lo guardò senza stupore, probabilmente già abituata dall’esperienza a maneggiare quel cocktail di alcol e ormoni in sovrappiù nascosto in abiti dalla simbologia pop: “Il rapporto tra narrativa e saggistica può essere più articolato di quanto tu credi – gli disse – Eco per esempio spiega di scrivere romanzi ogni qualvolta ha un’idea troppo imprecisa per dare forma a un saggio. Racconta quell’idea nel tentativo di chiarirla strada facendo, dando vita a una trama di cui lui stesso, all’inizio, non conosce l’epilogo”.

Non è forse così per tutti, per tutti coloro, anche i molti che non lo ammettono, che si prendono la briga di raccontare se stessi e il mondo nelle pagine di un diario? Lì ci finisce quello che è di troppo attorno a un tavolo, sui seggiolini di un’auto o di fronte a un camino. Lì ci finisce lo spirito letterario – nel senso di analitico, critico e trasparente – che ognuno ha. Ognuna di quelle pagine è il germe di un libro, l’abbozzo di una storia che meriterebbe di essere raccontata. Solo che nella maggior parte dei casi soccombe a se stessa, a un io troppo debole per essere immune al resto del gruppo anche quando fisicamente è ben nascosto e protetto. Provate a raccontare voi stessi e la vostra visione del mondo con assoluta onestà e trasparenza, senza alcuno sconto, senza alcuna concessione all’io o alla visione del mondo più conveniente o a quello che lo sarebbe. Anche in mezzo a parole a cui non vorrete mai dare circolo, vi troverete a combattere con una serie di maglie di cui neanche sospettavate l’esistenza: ciò che vi sembrerebbe così astruso e cerebrale leggendo Durkheim e Goffman d’un tratto vi parrebbe più solido e concreto di un cancello o un muro di cemento.

Siamo allo svincolo chiave tra uno qualunque e uno scrittore, non credete? La maggior parte racconterà qualcosa di ovvio e scontato, qualcosa che chiunque senza fatica potrebbe immaginare. Una piccola percentuale invece butterà qualche parola al di là dei solchi che il mondo prepara per incanalarle. In quella piccola percentuale di persone è come se nella tecnica di una penna adulta di inserissero la voce di una mente libera e bambina. Ed è allora che chi leggerà sentirà l’eco di uno schiaffo o di una carezza e, con la matita, sentirà il desiderio di sottolineare le parole in cui ciò che aveva sempre pensato senza avere mai il modo di ammettere ha infine trovato voce.