martedì, novembre 03, 2009

Passaggio di fronte al rudere dalla memoria roca

C’è un rudere nascosto in una corona di colori autunnali di un bosco dalle tinte orride. E ci sono gruppi di persone che sfiorano quelle pietre dalla memoria ormai roca, incapace di farsi sentire forte. E ci sei tu che, volontariamente seduto più lontano, osservi i gruppi che passano e i loro occhi che guardano il rudere e la sua memoria roca.

Passa il gruppetto dei ragazzi che corrono verso il futuro. Lo portano scritto negli abiti all’ultimo grido, nella tecnologia che li lascia mai veramente dove sono. Li vedi, i loro sguardi. Sono di sfida e compassione. Dicono che loro da quel rudere pietoso non torneranno più: se ne andranno più lontani possibile.

Passa il gruppetto che segue la donna con la bandierina che parla al microfono senza guardarsi indietro. Loro, il rudere, non lo vedono. Vedono solo ciò che la guida dice loro di vedere. “Salite su quella pietra: di lassù le foto vengono bellissime”.

Passa poi il gruppetto che viene dalla città vicina. Lo senti prima che arrivi, dall’accento familiare ma non troppo. Nessuno ci ha mai vissuto nel rudere o nei suoi fratelli ormai macerie né nessuno lo farà mai, ma puntuale qualcuno vagheggia di trasferirvisi.

L’attendi, infine, ma non passa il residente. Poco lontano dal rudere ci vive, ma non ci va mai. Troppo vicino per raccontare un viaggio che qualcuno ascolti, troppo lontano per essere raggiunto con la passeggiata della sera.

E poi ci sei tu che guardi tutti i gruppi che passano. Non solo senza un sottile e tagliente sarcasmo. Tu hai già studiato tutti quei comportamenti superficiali. Hai letto le parole di chi li ha descritti e hai anche ascoltato chi ha suggerito il modo giusto per riappropriarsi di quel rudere e del suo paesaggio in modo concreto e simbolico. Per questo ti sei messo seduto più lontano e hai lasciato corda libera alla deriva dei significati del luogo e delle letture che li hanno alimentati.

Passa però uno spazio così ampio tra il mondo e i simboli con cui lo leggi che ti chiedi se in realtà anch’essi non siano finti e artificiosi, se anch’essi servano a qualcosa o a nessuno, né a te che vi rimani intrappolato, né ai gruppetti di passaggio che non li comprendono, né al rudere la cui memoria rimane roca.

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