lunedì, gennaio 12, 2009

Il vecchio e il passante

L’uomo sedeva sul masso a fianco della maestà che anticipava l’inizio del borgo. Con lo sguardo appoggiato al ciglio della strada, stava lì, immobile, come la corteccia della quercia a cui rubava l’ombra. Si notava appena, ma lo notavano tutti. Aveva i colori di una vecchia foto: sempre curiosa, sempre interessante, sempre attraente per il solo fatto di continuare a esistere.

Il vecchio Pietro non parlava quasi mai con la gente del paese. Per la sua memoria preferiva una solitudine nobile a una compagnia compassionevole. Avrebbe potuto cercare un dialogo vero, ma, da tempo, aveva abbandonato quella speranza: chi l’ascoltava non riusciva a ricordare e chi poteva ricordare non aveva voglia di riascoltare.

Quando il camminatore forestiero lo vide, Pietro era immobile come sempre. Lo notò come una macchia di colore: il grigio della barba e dei capelli tra il verde impolverato delle foglie. Impiegò diversi minuti per raggiungerlo e metterlo a fuoco, ma decise subito di parlargli. Se era lì a piedi era anche per quell’uomo solitario e trasandato: per iniettarsi nelle orecchie gli scampoli di delirio e di memoria che uomini come quelli potevano ritagliare dal loro vissuto e dal loro immaginato.

Anche Pietro capì che lo straniero gli avrebbe parlato molto prima di sentire la sua voce. Nel tempo che ne ebbe coscienza prima di udirla, chiamò a raccolta tutti i pensieri che lo sconosciuto avrebbe voluto ricevere in dono: pensò al soldato tedesco morto ucciso nella camera della madre; pensò alla moglie del padrone con cui aveva fatto l’amore nel giardino della villa; pensò alle randellate mollate e prese durante gli scioperi del contado; e pensò a tutte le trascurabili vicende che nel calore di un focolare e nel rosso di un bicchiere di vino avevano poi assunto la dignità di un fatto da ricordare. Pensò soprattutto a questo lungo elenco. Vi pensò fino a quando lo straniero fu così vicino da potergli parlare.

I loro sguardi – quello fisso del vecchio e quello felino del viandante – si incrociarono, entrambi alla ricerca della scintilla per dar fuoco alla parola. E l’aria non tardò a scaldarsi di voci: il vecchio si mosse e il giovane si fermò. Il primo soffiò via la polvere da tutto il suo passato; il secondo descrisse luoghi sempre più lontani fino ad abbracciare il mondo intero. Avvenne tutto come i due avevano immaginato che dovesse accadere. Il vecchio recitò la sua parte; il viaggiatore credette di essere protagonista della propria.

Infine Pietro accomiatò lo straniero. “Ora proseguo il mio cammino” gli disse sedendosi.
Il viaggiatore lo guardò interrogativo.
“Ti sono piaciuti i miei racconti?” chiese il vecchio.
“Certo” replicò il viaggiatore. “Se sono arrivato fino a qui è soprattutto per ascoltare persone come te: alla periferia, autentiche”.
“Continua a divertirti allora, ma senza mai dimenticarti che è tutto falso, anche qui: le mie storie sono false, come quelle che sai essere false a casa tua. Solo che qui non puoi saperlo e ti consoli nel piacere dell’illusione. La vita non è un cammino, la vita è un racconto. Accade poco, ma se ne dice di tutto ed è molto piacevole farlo”.
Il vecchio si schiarì la gola e tornò nella posizione esatta in cui il viaggiatore l’aveva visto per la prima volta poco tempo prima. “Lasciami solo adesso – grugnì quasi maleducato – altrimenti rischio di non aver tempo a sufficienza per camminare nella mia memoria e costruire nuove storie per il prossimo straniero”.

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