lunedì, maggio 21, 2007

Il lungo saluto alla fattoria delle farfalle

Qualche giorno fa, tra i commenti a "Il picchiatore nella fattoria delle farfalle", si e' parlato di cosa manca nel trovarsi dall'altra parte del mondo. Ora, nella sala lounge del Ghan - il treno che mi riporta a sud -, credo di poter aggiungere qualche parola alle battute di allora.

Il treno e' fermo nella stazione di Katherine, solo qualche centinaio di Km da Darwin, e ancora piu' vicino a Batchelor, dove in mattinata ho salutato la fattoria delle farfalle. Dopo tre settimane in quella comunita' di 500 persone il distacco e' stato un momento impegnativo, un po' come si consumasse un'altra partenza da casa.

Per raggiungere la stazione di Darwin non c'e' stato bisogno di mezzi pubblici. Nonostante il tragitto richieda un'ora e mezza abbondante e nonostante io dovessi essere al check-in per le otto, Chris mi ha personalmente accompagnato, caricando tutti i miei bagagli e una notevole scorta di provviste sul suo furgoncino. E con Chris alle 6.30 del mattino nel parcheggio della Butterfly Farm, c'erano Roland, Simon, Ben, Isabelle, Daniela, Lora e Tia, tutti svegli all'alba per bere assieme l'ultimo caffe' e rinfrescarsi con un frullato di mango in quel di Batchelor.

In quel paesino, dove ho persino lavorato come guida turistica, la mia sagoma e' cosi' familiare che c'e' stato perfino il tempo per affibbiarmi un soprannome. "Silvio" e' stato abbandonato quasi subito per la difficolta' di molti nel pronunciarlo. Ho allora proposto "Mimmo", un mio appellativo rocchigiano di gioventu', ma dopo pochi giorni "Speedo" ha preso il sopravvento. E' un omaggio al mio costume, inusuale in Australia dove ovunque vigono lunghi shorts. "Speedo" e' stato uno dei nomi piu' acclamati al ballo del paese, lo scorso venerdi', e uno speedo simile al mio e' stato disegnato sul tetto di uno degli autobus che Chris usa come abitazione.

Credo che Batchelor finira' sul mio curriculum: guida turistica alla fattoria delle farfalle. Ma, in attesa di questo inusuale aggiunta, di quel luogo mi resta un portachiavi. Esteticamente non lo amo molto, ma, per i locali che me l'hanno regalato, e' probabilmente alto aritigianato. Fa parte della serie "gli animali" ed e' una pietra trasparente con all'interno un ciclopico scarafaggio. Giocherellare con questo piccolo aggeggio e ascoltare Cold Chisel (una voce australiana diventatami ormai familiare) rende nostalgica la rotta verso Adelaide. E' il momento in cui ci si chiede se si ha la voglia di ricominciare tutto da capo per l'ennesima volta. Un nuovo lavoro, una nuova casa, un nuovo clima e, ovviamente, nuovi rapporti umani.

Il carburante migliore per uscire dall'impasse e' la curiosita', la paura di lasciare inesplorato qualcosa di meritevole. Kangaroo Island, per esempio. E' un tempio per i naturalisti: per lungo tempo colonia penale e tuttora sede di pochi insediamenti. Dopo tre giorni di treno fino ad Adelaide, un autobus per Cape Jervis, un traghetto per Kingscote, e un altro bus per American River saro' la'. Per l'esattezza al lavoro nella fattoria di Catherine sulle sponde della Pellican Lagoon. All'orizzonte, almeno nelle promesse, ci sono canoe e lunghe escursioni. Per la prima volta in un clima autunnale che mi ha avvicinato al florido mercato d'abbigliamento di seconda mano diffuso in Australia: due felpe e un giacchetto intonse a soli 7$.

Un pitone nel frigorifero

pitone

pitone

Butterfly farm snapshots







La citta' perduta

La citta' perduta e' una remota localita' del Litchfild National Park raggiungibile solo attraverso una lunga strada sterrata. Si tratta di un ammasso di rocce di vario tipo che l'erosione ha lasciato intatte in mezzo alla foresta. Nel complesso richiamano un'antica citta'. E da qui il nome: citta' perduta.

Nel raggiungerla ci con il nostro furgoncino old fashioned ci siamo imbattuti anche in un bellissimo torrente e in un bush fire, ovvero i fuochi artifialmente appiccati per bruciare il bush e proteggere da incendi piu' violenti le zone in cui si intende edificare qualcosa.

Il furgoncino della Butterfly Farm

La citta perduta

Torrente

Bush fire

domenica, maggio 13, 2007

Two stubbies away

I latini hanno i Km, gli inglesi hanno le miglia, gli australiani hanno le birre. E' cosi' che misurano le distanze. Me lo ha raccontato Bozo venerdi' scorso, guidando sotto un temporale sotto stagione che ha fatto correre in strada tutta la piccola comunita' di Batchelor (per saperne di piu' leggi anche "Il picchiatore nella fattoria delle farfalle").

Bozo - capelli rasati, volto da guerriero mohicano e corporatura ossuta - e' il macellaio del paese. Capita spesso alla fattoria delle farfalle, per rinvigorire le scorte di maiale, di bovino e di barramundi (un pesce locale) usate dal ristorante. E' uno di casa e si muove spesso da solo. "How are you doing?" saluta attraversando la cucina per serversi la sua birra. Poi esce di nuovo e cammina piu' volte avanti e indietro tra il suo camion e i freezer nel retro dello stabile.

Venerdi' pero' Bozo ha avuto bisogno di una mano. Nel pomeriggio un pitone era entrato in una delle voliere e aveva fatto pranzo con un pocellino. Chris aveva sentito i rumori, era entrato a sua volta nella voliera, aveva catturato il rettile ("2,5 metri. Normale amministrazione" dice lui), e aveva vuotato uno dei freezer per adibirlo a temporanea gabbia, in attesa di attrezzarne una vera e trasformare il goloso intruso in una nuova attrazione.

Bozo era dunque arrivato in tutta fretta per portare un altro freezer. "Mi date una mano a caricarlo dalla mia cantina e a scaricarlo qui?" ha chiesto il macellaio a me e a Roland, un ragazzo austriaco di stanza qui come me. Pochi istanti dopo eravamo in marcia tra gli eucalipti del Nothern Therritory. "E' lontana casa tua?" ha buttato li' Roland per rompere il silenzio fumoso del guidatore.
"Just a couple of stubbies away", ha risposto lui continuando a tenere in bocca la sua sigaretta.
Io e Roland ci siamo guardati con sghuardo interrogativo. "Stubby" significa birra in bottiglia. E' una parola familiare ormai, ma non c'entrava nulla. Abbiamo allora chiesto di ripetere e lui l'ha fatto. "A copuple of stubbies away" ha ribadito. "Giusto il tempo di bere due birre. Non e' lontano".

La macchina di Bozo e' progettata per trasportare birra. Dietro il cambio, sempre alla portata di mano dell'autista, ci sono quattro porta bottiglia. Quanto basta per un'ottantina di chilometri.

"Scusa - ho detto a Bozo a mo' di battuta - ma se ti capita di guidare a sud fino ad Adelaide che scorte ti porti?".
"Oh - ha risposto lui serissimo - quello e' un lungo viaggio. Serve molto ghiaccio e un thermos, altrimenti la birra ti si riscalda tra una tappa e l'altra".

In questa estrema propaggine dell'Australia, dove la gente parcheggia i pitoni nel frigorifero, il consumo di birra procapite - riporta il Nothern Therritory News - e' di 28 pinte a settimana".

domenica, maggio 06, 2007

Il picchiatore nella fattoria delle farfalle

Worry when the time comes
Most worries are future based
They revolve around things
That in most cases never happen.
Concentrate on the present
And the future will take care of itself.
Come on and see me,
Make me happy.

(Chris Horne
Messaggio di benvenuto alla fattoria delle farfalle)


Batchelor e'un grumo di capanne tenuto insieme da qualche metro di prato all'inglese strappato alla foresta. Per sei mesi, piove, piove e basta. Poi tuoni e fulmini, di quelli che fanno tremare la terra, si placano e la vita riprende. Lentamente, ritagliandosi uno spazio tra l'umidita' e la vegetazione, i minatori tornano a scavare, i contadini tornano ad arare e i turisti tornano a tuffarsi nei torrenti del Litchfield National Park.

Alla periferia di questo piccolo villaggio si e'sistemato Chris Horne. Quando pianto' il primo legno della sua tenuta, nel 1996, Chris aveva 39 anni, di cui otto passati in miniera. La paga era da sogno: quasi 3000$ alla settimana. "Ma la vita - dice lui - era di quelle che ti spegnevano l'anima. Polvere e pietre durante il giorno, e birra alla sera per dimenticare un'altra notte nel container che ci faceva da alloggio. Il cervello dopo un po' ti abbandona. Diventi piu' un porco che un uomo: sporco, sbronzo e schiavo di quella valanga di soldi che ti puiove addosso. E' come una droga e c'e' chi non ne esce piu'".

"Per fortuna io avevo una passione, le farfalle - prosegue Chris - e abbastanza soldi per trasformare un gioco da bambini in un business per adulti. Con un amico tirai su la prima capanna, quella che oggi e' il ristorante; parcheggiai il primo autobus, quello che oggi e' casa mia; e infine mi misi ad allevvare farfalle. Adoravo e adoro ancora quegli animaletti che sono molto piu' antichi di noi, non fanno male a nessuno e hanno un indiscutibile gusto per il bello".

La Butterfly Farm dieci anni dopo e' una rigogliosa tenuta tropicale. Entrandovi si respira subito un'atmosfera tra l'hippy e il mistico. La si coglie tra facce sudate, piedi scalzi e camice aperte. Bob Dylan, i Beatles, Bob Marley e qualche roca voce country australiana sono sempre sullo sfondo. Piccoli buddha, dream catchtcher e angeli alati decorano le balaustre. E, ovunque si vada, si e' accompagnati dallo scricchiolio dei piedi sul legno delle capanne o dalla polvere dei sentierini che le uniscono.

Cio' che sorprende dopo questa prima impressione che si conferma nel tempo e'il perfetto funzionamento di ogni meccanismo. La Butterfly Farm, insomma, e' un'impresa che macina profitti a pieno regime. In dieci anni la fattoria delle farfalle si e' ampliata con nuovi alloggi, due piccole piscine con cascata, conigli indonesiani, pavoni, pappagalli e un orto rigoglioso. Un insieme in cui perdura la massima dei tempi andati: non si butta via niente. Gli scarti della cucina diventano cibo per i maialini da compagnia, gli avanzi di macedonia diventano cibo per gli uccelli, e l'erba tagliata cibo per i conigli.

Tra gli ospiti di questo luogo nascosto sulla Stuart Hwy, a meta' strada tra Darwin e Katherine, figura un po'di tutto. Al mattino, un autobus proveniente da Darwin e diretto a Litchfield scarica una copiosa manciata di facoltosi pensionati australiani. Durante il giorno, qualche famiglia porta i bambini a giocare con i conigli e a nuotare nella piscina. E di sera, un manipolo di minatori si unisce ai clienti della guest house per la cena. C'e' chi arriva in polo griffata, chi scalzo e chi in tenuta da lavoro. Ma per tutti Chris sembra avere la ricetta della felicita'. Accompagna l'anziana malferma, rincorre il bambino piagnucolante e ascolta i lamenti degli sbronzi, senza mai fermarsi, riempiendo ogni vuoto con un giro tra gli animali, una sistematina alle piante e una mescolata in cucina.

Ad aiutare Chris e la sua famiglia - una moglie belga e due bambini -, non ci sono professionisti da molto tempo. "L'unico manager che e'arrivato qui con una fila di referenze e' stato cosi' brillante da fottermi 10mila $ mentre ero in vacanza in Irlanda, la mia madre patria". Al posto di cuochi, giardinieri, allevatori, responsabili di sala e guide turistiche, Chris ha preferito da allora i wwofers, lavoratori volontari nelle fattorie ecologiche. Piu' semplicemente, gente da tutto il mondo che si ferma qui e fa un po'di tutto in cambio di vitto, alloggio e una prospettiva originale sul circondario.

Da qualche giorno faccio parte anch'io di questa comitiva multietnica affacciata alla periferia di Batchelor nel Nothern Territory dell'Australia. "Se non l'hai mai fatto - mi rincuora Chris prima di ogni mansione - non avere mai paura di provare. Mio padre era solito dire che chiunque puo' fare qualsiasi cosa finche' ha voglia di provarla".

Le giornate procedono a ritmo balndo, l'unico consentito dal clima. Un po' di lavoro in cucina al mattino, qualche sortita nel giardino prima di pranzo, un lungo break nel bollente pomeriggio, e una movimentata serata, piena ogni volta di una faccia nuova.

Glenn e' una di queste. Lavora in miniera e ogni sera preferisce la fattoria delle farfalle al suo container. Sulle sue braccia ha due grossi tatuaggi che dopo due giorni mi hanno spinto a chiedergli il perche' di due macchie indelebili cosi' grandi sulla pelle. "Ho sempre avuto una certa repulsione per i tatuaggi - gli ho detto - Ho come la sensazione che dopo un po' ci si tovi in compagnia di simboli in cui l'eta' non ci fa piu' riconoscere.".
"E'storia, amico", ha risposto il minatore neozelandese. "Quei tatuaggi sono il ricordo dei miei cugini morti a 11 e 14 anni a causa di un incidente stradale. Sono convinto che mi proteggano". Posando la sua birra e allontanando la schiena dall'amaca, Glenn ha poi alzato la canottiera, facendo segno di guardare le sue spalle. "Riesci a leggere?" mi ha chiesto. "C'e' un altro tatuaggio. E' il nome del mio villaggio: Tuckaroo. Un altro ricordo ormai. E' da molto che non ci torno, gia'qualche anno".
"Perche' cosi'a lungo?"
"Perche' l'ultima volta che sono finito di fronte a un tribunale neozelandese il giudice mi ha detto che la volta successiva sarei stato in prigione per un po', diciamo un bel po'".
"Posso sapere cosa hai combinato?" ho ribattuto, cercando di simulare un rilassato disinteresse.
"Lavoravo in una gang".
"Gang?"
"Esatto. Non facevo camminare per qualche giorno quelli che si erano comportati male per troppo tempo. E'un lavoro comune a Tuckaroo, purtroppo. Li' c'e' sempre qualcuno che ti avvicina e ti sfida. "Kapa te mate", ti ammonisce in maori. "Vieni qui, vieni qui...".
"Ci tornerai piu'?".
"A Tuckaroo mai. Ma mio nonno mi ha lasciato una casa in cima alla montagna. Appena avro'una donna da amare, tornero'la'a sedermi sulla veranda e vedere la nebbia alzarsi al mattino".