domenica, dicembre 17, 2006

Lomograficamente scrivendo

Chiara ci ha versato un bicchiere di vino rosso e ci ha invitato a sederci nella sala dei sensi. Siamo entrati con cautela, palpando con un certo disagio il folto pelo che copriva il pavimento. Poi ci siamo seduti: chi all’ingresso, sul freddo marmo; chi di lato, su una puffosa poltroncina; e io al centro, in mezzo a una pila di cuscini. Ho sniffato un po’ di noce moscata, un leggero tiro di cumino e una bella nasata di cannella. Poi mi sono lasciato andare all’indietro, ho guardato all’insù, e ho fotografato con la mente la volta dipinta, mentre un sibilo di flash continuava a riecheggiare tra le orecchie. Ah, le lomopercezioni… Finalmente!


Solo il giorno prima avevo scoperto le lomografie
. Stavo salendo su per la strada di Monte Gemelli, quando Enrico mi ha parlato di quelle strane macchine ideate in Russia. Stroboscopiche, multiscatto, fish eye. Aggeggi piccoli, da borsa, che non hanno nulla di naturale e non producono nulla di naturale. Sono ancora rigorosamente a pellicola e tendono a maltrattarla, imprimendole sopra una realtà post moderna con bordate di colore, cascate di luce e linee distorte. “Sono belli i lomowall”, mi ha detto Enrico, descrivendomi pareti piene di piccole lomografie, tutte accatastate su una parete.

Mentre bevevo vino, sniffavo cannella e ascoltavo il sibilo del flash seduto su un tappeto peloso ero appunto di fronte alle prime lomopercezioni della mia vita. Le hanno appese a Forlì le tre donne di 10/10, lomografiche dai primi giorni di quest’autunno. Hanno lomografato un po’ di tutto in giro per la città – dai cani ai ciclisti – e poi hanno appeso le loro lomocreazioni alle pareti del vecchio oratorio che appare di fronte all’Osteria nascosta in pieno centro.

Lomograficamente scrivendo, è davvero tutto qui. O forse no, no davvero. No, ci sono ancora i lomofans. Ecco qua, le loro letterine, piene davvero di strane, poetiche, paroline:

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Ciao a tutti ,

per quanto riguarda il 17 dicembre,non so ,in pratica cioè devo non sto tanto sì però dovrei anche perchè il giorno dopo è meglio prima sono allergico al caviale poi una settimana prima Schumi ha perso il mondiale perchè Prodi non ho un abbigliamento consono il ritiro delle truppe dall'Iraq sono sotto antibiotici è che mia nonna proprio sono spossato ho dormito due ore una settimana fà mi fanno male le scarpe guarda ieri ho avuto una giornata sono debole di vescica,

insomma,penso di esserci senza grossi problemi.

Edo

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Auguri belli, sempre quelli
Auguri densi a chi resiste e pensi
che ci son cose più felici, Auguri amici.

Auguri tersi, Auguri persi,
Auguri versi da leggere adesso, Auguri spesso.
Auguri molti a chi li han tolti, Auguri forti.

Al mondo, chi lo cambia, lo salvi e lo curi
Auguri duri e puri,
Auguri interi, auguri veri.

Auguri inerti, Auguri aperti
alla voglia di cambiare,
Auguri d’acqua, che ce n’è poca, Auguri mare.

Auguri gatti, per dire gl’inni
e per cantare, come i matti.

Auguri treni e Auguri pieni.
Auguri torti, che qualcuno li porti
alle nostre case, in una frase, da ricordare.

Auguri e fasti per restar desti, restare svegli
Auguri ai figli che arriveranno, che nasceranno
Auguri tutto l’anno,non solo ora, Auguri ancora.

Auguri banali, tali e quali,
Auguri soli, Auguri netti e auguri detti,
per non restare qui, così stretti.

Nei giorni neri, Auguri seri.

Auguri cielo che ci proteggi,
Auguri greggi e quindi schietti,
Auguri ai letti che dormiremo, che rifaremo, Auguri almeno.

Auguri facili, auguri esatti
per sognar tutte le notti,Auguri rotti,
Auguri fatti e Auguri cotti.

A tutti noi che andiamo avanti
Auguri.
Tanti.


Enrico

venerdì, dicembre 01, 2006

1998, odissea con la vecchia puttana

“Ma lo sai che mi sono sparato pure un Natale con una puttana. Ma dalla disperazione”.
Antonio non nasconde lo sconforto. “Era pure andata con l’età”, dice ricordando quel solitario Natale bolognese del 1998. “Non c’era un cane, oh. Era come d’estate. Sai, io sono rimasto qui pure qualche estate per studiare. Non c’era davvero nessuno, ma dico nessuno. Quando scendevo in via Indipendenza, mi scoppiavano le tempie dal caldo e guardavo all’orizzonte come un marinaio per vedere in mezzo alla luce un puntino piccolo piccolo, che forse era un persona a passeggio per via Matteotti”.
“Che tristezza”, ripete ancora.

Poi si versa un po’ di vino. “Buono”, commenta. “E’ come quando ci troviamo col mio cognato in Calabria. Accendiamo il camino e ci inciucchiamo”.
Il ricordo di casa basta per ritrovare il sorriso e dimenticare il triste e precarissimo lavoro notturno nei magazzini della posta. Beve ancora e pensa alla collega che gli piace. Infine si sbarazza dei suoi trentanove anni e ripensa al Natale del 1998 trascorso con la vecchia puttana.

“Lei avrà avuto settant’anni, ma era ben fatta, sai. Aveva le calze a rete pure. Credimi, Silvio, era proprio ben conservata”.
Mi faccio un goccio anch’io per fare compagnia. Rido un po’, ma lui prosegue.
“Reggicalze? La Lella lo diceva sempre. Era la sua frase per attirare i clienti. Stava sul pianerottolo vicino a casa del mio amico. Mi disse reggicalze anche quel Natale quando non c’era nessuno, neppure il mio amico”.
“Sono entrato”, aggiunge dopo una pausa.

Non dice molto altro della sua vicenda il mio temporaneo compagno di casa. La Lella e la sua amica di via Polese, zona Pratello, sono pure morte.
Però c’è spazio per una nota in più.
“Ti metteva sul bidè e ti lavava tutto. Credimi, Silvio, solo quello valeva il prezzo. Che poi era buono: 15 mila lire. Oh, ma dico, per Natale era davvero buono: guarda che non c’erano proprio nessuno, neanche le puttane nere sui viali. Minchia, Silvio, non c’era nessuno”.

Antonio beve di nuovo.
“Però ero triste”, conclude. “Minchia, come mi sono ridotto, pensavo tra me e me”.