martedì, settembre 26, 2006

Una spremuta di sole e un bagliore di candela alla Capanna del Partigiano

Ci deve essere stato un gran fragore in quel lontano 18 luglio del 1944. Grida di fanti fascisti che risalivano le pendici del Monte Lavane ed echi di mitragliatrici partigiane nascoste nella Capanna di Pian Porcello. Una lapide, posta su quella che oggi si chiama la Capanna del Partigiano, tiene ancora viva quella memoria. Ma attorno a essa non si sente più nulla. Niente luci, niente suoni, neppure un traliccio. Se si guarda a ovest si incontrano solo faggi che coprono tappeti di felci adagiati su crinali che via via si perdono all’orizzonte. E, prima della notte, una spremuta di sole arriva a dare l’ultima pennellata di rosso al paesaggio.

Tramonto alla capanna del partigiano

Esaurito l’ultimo riflesso del tramonto, restano solo i bagliori di una candela e le braci del camino.

Camino acceso alla Capanna del Partigiano

Un salto nel vuoto del torrente Lavane

Una cascata del torrente Lavane

giovedì, settembre 21, 2006

Elli, la ragazza cresciuta con gli enzimi per le lenti

“Ero piccolina. Avrò avuto sedici, diciassette anni al massimo”, dice Elli, raccontando una delle sue prime visite oculistiche. La miopia cominciava a farsi sentire e il medico decise che era il caso di farle indossare le lenti. Fu gentile e durante la visita le spiegò con dovizia come prendersene cura. Fece un lungo elenco di prodotti e la giovane ascoltò attenta, solo forse un po’ emozionata come prima di un esame. Alla fine il medico fu convinto che tutto fosse chiaro ed Elli annuì: tutto sarebbe stato fatto come si doveva.

Un anno dopo l’adolescente un po’ cresciuta torna dall’oculista per un controllo di routine. L’esito della visita è positivo. La miopia si è fermata e non ci sono ulteriori problemi all’orizzonte. “Però – lamenta il medico – le tue lenti sono sporchissime”. Non le hai pulite?”, chiede. “Certo”, risponde Elli, elencando con dovizia tutta la procedura ripetuta tante e tante volte.

“Ma gli enzimi?”, incalza ancora l’oculista. “Gli ho presi regolarmente tutti i mesi”, risponde Elli, un po’ seccata. Solo dallo sguardo terrorizzato del medico la ragazza capì che quelle piccole pastiglie dal gustoso sapore di varechina e uovo marcio erano agenti per la pulizia delle lenti.... “Io – spiega oggi Elli, protestando la sua innocenza di allora – credevo che fossero enzimi per abituare gli occhi alle lenti ed evitare che le rigettassero”.

Lo spiacevole imprevisto fortunatamente non ha avuto danni gravi. La ragazza è cresciuta sana, forte e piena di ottimismo. E’ anche andata all’Università, dove all’orale di Analisi I completò spigliata tutto l’esercizio commissionatole dal professore. Soddisfatta e un po’ orgogliosa terminò la sua opera scrivendo nella lavagna radice di nove. “Quindi?”, chiese pacato il docente. “Oddio”, pensò lei con le spalle al muro. “Quindi, due per radice di tre... ah, no, scusi, tre per radice di due”.

Allora fu un diciotto (dice lei). Oggi è un ingegnere. Anche se non ne è sicura e nella carta di identità si è fatta scrivere “ricercatrice”. “Perché – ha spiegato all’impiegata dell’anagrafe – sono ancora alla ricerca della mia strada”.

martedì, settembre 19, 2006

Dall’ossessione per i massmedia del cavalier Berlusconi all’ossessione per i micromedia del senatore Guzzanti

Tra i ricordi che il mio relatore, Fabrizio Tonello, conserva della sua esperienza giornalistica c’è un’esperienza personale dell’ossessione massmediatica di Silvio Berlusconi. L’episodio, raccontatomi circa un anno fa – se ben ricordo -, risale al periodo della scalata alle frequenze televisive. L’allora imprenditore si getta alla conquista di un network francese e l’allora cronista, corrispondente da Parigi per Il Secolo XIX, scrive un editoriale critico sulla strategia della società appena acquisita dal magnate italiano. Berlusconi è già un grande industriale e il Secolo solo un quotidiano locale, ma l’attacco da quelle pagine è sufficiente per indurre il futuro presidente del Consiglio a sollevare personalmente la cornetta e redarguire l’arrogante giornalista.

Tonello confessa tuttora il suo stupore per quella telefonata. Oggi però bastano sassolini ancora più piccoli per risvegliare la reazione del mondo politico e industriale. Oggi un senatore della repubblica, come Paolo Guzzanti, si siede alla tastiera per prendersi gioco di un piccolo blogger e, una volta persa qualche battaglia, esce dal mondo della rete e dei nickname per entrare in quello dei titoli onorifici e dei tribunali. Smette di firmarsi informalmente “Guzz” e minaccia un procedimento giuridico condotto da Paolo Guzzanti, Senatore della Repubblica Italiana.

Guzzanti, ora agli onori della cronaca per le sue altalene politiche e per aver dato i natali a due celebri comici televisivi, fu a lungo inviato del quotidiano La Repubblica in Salvador. Con la sua penna, oltre alla stima del Direttore, Eugenio Scalfari, conquistò addirittura un premio giornalistico. L’articolo che debellò la concorrenza degli altri reporter descriveva decapitazioni sommarie eseguite negli alberghi della capitale: il tono del racconto era duro, epico, denso di dettagli che rimandavano alla presa diretta degli eventi narrati.

Non tutti, però, applaudirono quel reportage. Tra i colleghi, anzi, serpeggiò il dubbio che quelle pagine andassero ascritte al genere della narrativa: belle al loro interno, ma frutto di un falso storico. Frutto cioè di decapitazioni mai capitate o, al massimo, occorse lontano, molto lontano, dai luoghi dove Guzzanti le aveva ambientate.

Le voci contro di allora sono finite recentemente nel retino di Gabriele Paradisi, industriale bolognese di origine romagnola, che, con pazienza e dedizione estranee al mondo redazionale, ha seguito per passione gli echi del passato, scovando vecchi articoli e telefonando ai protagonisti dell’epoca. La sua ricerca ha richiesto settimane, ma alla fine ha prodotto una storia alternativa a quella descritta da Guzzanti e premiata con il Premiolino.

Lo scoop e le indiscrezioni dell’imprenditore col vizio del blogging non sono finite né su Il Corriere della Sera, né sul New York Times. Solo nel suo blog, ma per il senatore della Repubblica che nella rete si firmava Guzz la pubblicazione su un micromedia è stato più che sufficiente a minacciare il ricorso alle vie legali. Il procedimento, tra ritrattazioni e avvicinamenti, è attualmente fermo, ma, nei post e nei commenti restano tutte le feroci parole che la vicenda ha prodotto. E, soprattutto, resta aperta la caccia alle nuove tracce, quelle che potrebbero dire davvero se era vera la storia scritta su Repubblica da Paolo Guzzanti o se invece è vera quella ricostruita da Gabriele Paradisi sul suo blog circa venti anni dopo.

Per chi vuole saperne di più, Paradisi ha riassunto tutta la vicenda in un post del suo blog “Cieli limpidi”. Il post si intitola Senador, periodista, di la verdad! Il giallo storico è servito: buona lettura...

martedì, settembre 12, 2006

La strana convivenza di parole solide e spazi virtuali

Le vecchi civiltà andine hanno scritto su ogni cosa. L’ho scoperto pochi minuti fa, presentando Appunti di campo, un volume dedicato agli studi di antropologia culturale sulle antiche popolazioni americane. Il testo racconta di linguaggi impressi su tessuti e bicchieri. Gli Inca, per esempio, raccontavano la loro storia scegliendo il tipo di tessuto, mentre i peruviani rendevano più chiari i loro messaggi scolpendo in un diverso tipo di legno. Nei loro codici, insomma, la materia non era un supporto, ma un segno. Un disegno da solo significava poco: significava diversamente se cucito nel cotone o se intessuto nella canapa.

Mi è sembrato curioso parlarne: citare quelle parole solide in un blog che a cui non serve nemmeno più la carta. Parole solide in spazi virtuali.

venerdì, settembre 08, 2006

La cultura dell’ignoranza

Siamo nella società della conoscenza. Questo lo dicono tutti. In molti però si sono stufati e alcuni, in particolare, si sono stufati più di altri. Qualcuno, insomma, si è un po’ rotto di passare la vita a conoscere ciò che fa comodo agli altri e ha scelto di diventare ignorante e di dedicare a questa forma di protesta socio-cultural-esistenziale un’intera giornata: l’ignoranz day. L’evento è ormai una consuetudine. Si celebra ogni anno nella bassa bolognese.

Il club dell’ignoranza è potenzialmente aperto a tutti. Veicolato dal web l’ultimo ignoranz day è stato onorato addirittura da un fans club napoletano. Dal profondo sud i partenopei hanno chiesto il permesso di essere presenti. Dall’umido nord i bolognesi hanno detto sì. E tutto si è concluso con una serata a base di vino, salsiccia e film ignoranti.

Per chi anela a entrare in questo club godereccio, la strada è però più irta di quanto il nome lasci sospettare. Essere ignoranti vuol dire infatti essere abili conoscitori di una materia inafferrabile, fatta di b-movies, vecchi cartoni animati e siti un po’ sdozzi. E’ difficile diventare ignoranti per scelta: la buona volontà non basta, perché biblioteche e saggi sul tema scarseggiano; è solo il vissuto, la nottata di Tv e patatine unte, che crea l’ignoranza, che rende possibile all’ignorante snocciolare un passaggio di Attila flagello di Dio in qualsiasi contesto, dalla riunione di lavoro alla cena con la morosa. Per esempio, chi di voi saprebbe rispondere con certezza a questi quesiti disseminati nel test d’ingresso al sito dell’ignoranza: “Qual è lo sponsor della Longobarda, la squadra allenata dal famoso Oronzo Canà? Pollo ruspante, Euro Ponteggi o Pastificio Mosciarelli...”; “Se ti dico Pino Balera tu cosa mi dici? Beppe Pista, Franco Strobo o Raul Casadei...”.

Se anche voi siete scontenti della cultura ufficiale, buona vista al sito dell’ignoranza, allora. Male che vada arriverete alle conclusioni di Pin: “Scusate, ho sbagliato sito..... Vado via”. Bene che vada, invece, raggiungerete la saggezza di Catta: “L'ignoranza – dice lui - non ha limiti, ma confini dati dalla mente”.

Caro ignorante Poluz, ignoranz master del sito, piacere di averti conosciuto. Alla prossima mi racconterai tutta la genesi del progetto. Secondo me è una storia ricca di particolari stupidi e quindi molto notiziale... pardon ignoranziabile.

www.ignoranza.it

giovedì, settembre 07, 2006

Trasloco a piedi da finestre intime e finestre pubbliche

Sopra la mensola della mia nuova camera da letto bolognese due libri poggiano fianco a fianco. Uno, Camminando di Pino Cacucci, l’ho acquistato dietro consiglio, l’altro, Il mondo a piedi di David Le Breton, l’ho invece raccolto a scatola chiusa, per curiosità dopo averlo visto in libreria. L’uno e l’altro – la scelta cosciente e l’opzione casuale – strizzano l’occhio alla camminata e forse è per questo che a piedi ho addirittura realizzato l’ultimo ennesimo trasloco in ordine di tempo. Di passo svelto giù per via Fondazza, quasi di corsa attraverso Strada Maggiore, e poi guardingo lungo via Broccaindosso, dove la ristrettezza del marciapiede mi ha costretto in mezzo alla sede stradale con carrellino, armadio e trampoli vari. Tra un punto è l’altro la distanza è ridottissima: ci ho messo quasi di più a descriverla sinteticamente in queste righe che a percorrerla. La butto lì: saranno 500 m.

Ed eppure è già viaggio, nel senso che c’è una bella differenza tra la stanza di partenza e quella di arrivo. Non c’è “Jet” ma c’è qualcosa di “Lag”. Troppo alla buona, decisamente decadente la prima. Troppo formale e leggermente ansiogena la seconda. Scarponi sul divano nella prima e ciabatte all’ingresso per la seconda. E ancora un ingegnere un po’ hippy da una parte e un impiegato statale squadrato dall’altra.

La differenza più grande tra le due case, per ora, resta però la finestra. In via Fondazza era una finestrona ad altezza tetto affacciata su un cortile interno. In via Broccaindosso è invece una finestra più tradizionale aperta sul centro della via. Nell’una il suono più comune era quello della Tv: si udivano vocii via etere un po’ ovunque, assieme ai suoni della vita domestica – più o meno intima – che si animava tra le sette di sera e mezzanotte. Nella nuova dimora, invece, il tubo catodico non proferisce voce e con lui scompare ogni costanza: sgasate di motorino, sibili di sirene e grida all’uscita dall’osteria si alternano a silenzi completi, senza limiti di orario.

In entrambi i casi resta l’insidia del rumore. Confermo la tradizione: una casa in condominio non è mai veramente tua.

domenica, settembre 03, 2006

Ieri è passato e oggi è di corsa

“Vieni su a Bertinoro per la notte bianca?”, domanda Nicola mentre imbragato e a piedi scalzi lascia dolcemente scorrere la fune che tiene in sicurezza la ragazza belga a penzoloni sulla palestra di roccia del Vertical di Forlì.
“No, questa sera proprio no”, gli rispondo. “Già ieri sera ho tirato a tardi e sbevucchiato a Bologna. Sono più che a posto”.
“Bah, cosa c’entra ieri – replica lui – ieri è passato”. “Comunque – prosegue – noi ci troviamo alle dieci per andare su”.
“Nicola, guarda che mancano dieci minuti”.
“Ma dai, stai scherzando”. “No – risponde l’altro istruttore di roccia – sono le 9.45 abbondanti”.
“Ma porca, ma come si fa a correre sempre dietro al tempo! Tra tre minuti devo essere dagli altri lavato, cambiato, insomma tutto…”, conclude il Nik, mentre ancora tiene a penzoloni la ragazza belga sulla parete.

Dopo circa mezz’ora e un altro paio di scalate Nicola è effettivamente partito per unirsi agli altri e andare alla notte bianca di Bertinoro. Nel retro della macchina, appena messa a posto, c’era un asciugamano che non aveva avuto il tempo di rimettere a posto uscendo di casa di corsa e sul seggiolino davanti c’era il documento per ritirare le analisi che non aveva avuto il tempo di ritirare.

Come si fa a vivere così di corsa, sempre di corsa? Prometto che glielo domanderò. Ho già preannunciato la volontà di un’intervista informale. Più avanti però. Ora è già tardi e devo correre al mare.